Morte socio accomandatario

Morte socio accomandatario: che succede?

La morte di un socio accomandatario può avere effetti significativi sulla struttura e sul funzionamento di una società di persone.

Essendo, infatti, il socio accomandatario responsabile illimitatamente delle obbligazioni sociali, la sua scomparsa può portare a ripercussioni sia dal punto di vista gestionale che patrimoniale.

In questo articolo analizzeremo le conseguenze legali di tale evento e le implicazioni pratiche che ne derivano sia per la società stessa, sia per gli altri soci e gli eredi del defunto.

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Che cos’è la società in accomandita semplice?

La società in accomandita semplice (detta anche s.a.s.) è un tipo di società di persone che può avere ad oggetto sia attività commerciale che attività non commerciale e presenta, quale peculiarità, la presenza di due tipologie di soci:

  • il socio accomandatario, cui spetta in via esclusiva la gestione e l’amministrazione della società. Hanno una responsabilità personale illimitata e solidale (in modo simile a quanto accade ai soci della s.n.c.);
  • il socio accomandante, cui non spetta l’amministrazione, e risponde delle obbligazioni della società solo nei limiti della propria quota, ad eccezione di alcuni casi contemplati dalla legge.

Morte dei soci: differenze

Per quanto riguarda la società in accomandita semplice, i casi di morte sono disciplinati diversamente in basi al tipo di socio.

Morte del socio accomandante

L’ipotesi della morte del socio accomandate è prevista dall’art. 2322 del codice civile, ai sensi del quale la suo quota è trasmissibile per causa si morte.

Ciò fa si che, in caso di morte di tale socio, anche senza il consenso dei soci superstiti, gli eredi possano subentrare nella posizione del socio defunto.

L’espresso specificazione del tipo di socio, però, fa si che tale norma non sia applicabile anche al socio accomandatario, per il quale è prevista, infatti, una diversa disciplina.

Morte del socio accomandatario

Occorre, innanzitutto, che non è prevista per il socio accomandatario, una norma dello stesso tenore di quella che abbiamo appena esaminato.

Pertanto, per capire cosa succeda nel caso del suo decesso, occorre innanzitutto fare riferimento all’art. 2315 del codice civile, il quale prevede che “alla società in accomandita semplice si applicano le disposizioni relative alla società in nome collettivo”.

Ciò permette, quindi, di applicare l’articolo 2284 del codice civile, ai sensi del quale “salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano”.

Alla luce di ciò, al momento della morte del socio accomandatario, sono ipotizzabili tre scenari:

  • la liquidazione della quota agli eredi da parte dei soci superstiti;
  • lo scioglimento della società;
  • la continuazione della stessa con gli eredi, purchè vi sia il consenso di tutti i soci e degli eredi medesimi.

Appare evidente, quindi, la mancanza di una ipotesi di continuazione automatica della società con gli eredi, e ciò a causa della natura giuridica della figura del socio accomandatario, con quello che significa in termini di responsabilità.

Ciò non vuol dire, però, che tale principio non possa essere superato tramite la previsione nel contratto sociale di una “clausola di continuazione”, vale a dire di una disposizione negoziale che preveda la successione degli eredi nella posizione dei soci accomandatari defunti.

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Le clausole di continuazione

Come detto, tali clausole permettono agli eredi del socio accomandatario di subentrare nella sua posizione all’interno della società.

Per questo motivo, data la loro importanza, la giurisprudenza di è espressa più volte in merito, arrivando alla conclusione che tali clausole siano invalide a meno che i successori del de cuius siano individuati in modo puntuale ed espresso.

Precisato tale aspetto, possiamo distinguere le seguenti clausole di continuazione:

  1. facoltative: in questo caso è concessa agli eredi la possibilità di scegliere se subentrare nella compagine sociale, e ciò anche a prescindere dall’avvenuta accettazione dell’eredità. Pertanto, per assumere la qualità di soci non basta che gli eredi accettino l’eredità, ma è necessario anche che esprimano la volontà di subentrare nella società;
  2. obbligatorie: in tali ipotesi, invece, l’obbligo di continuare la società è imposto agli eredi. Su tali clausole, però, ci sono dei dubbi, dal momento che le la giurisprudenza le ritiene valide, mentre la dottrina le ritiene per lo più nulle, dal momento che violerebbero il divieto dei patti successori.
  3. automatiche: questa ipotesi differisce da quelle obbligatorie solo perché l’accettazione dell’eredità comporta in tal caso l’assunzione automatica della qualità di socio, senza il bisogno di ulteriori manifestazioni.  Tali clausole sono considerate valide dalla giurisprudenza dal momento che l’erede può evitare il subentro nella società rinunciando all’eredità.

Morte del socio accomandatario: quanto tempo per agire

Occorre precisare che, nel caso di morte del socio accomandatario, vi sono dei termini stretti per agire.

Infatti, quando viene meno una categoria di soci, la società ha solo sei mesi di tempo per ricostituire la categoria mancante, pena lo scioglimento della società.

Infine, nel caso di liquidazione della società, gli eredi hanno un termine prescrizionale di dieci anni per chiedere quanto gli spetta, altrimenti non avranno più nulla.

Conclusioni

Abbiamo visto che la morte del socio accomandatario è un momento delicato, che può avere effetti sia sulla società che sugli eredi del socio.

Pertanto, è sempre bene farsi consigliare da avvocati esperti in successioni per effettuare tutti gli adempimenti necessari a proseguire la società o ad ottenere quanto dovuto.

Avv. Eugenio Martusciello

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